Dal diario di don Luigi Sgargetta

Alcuni passi significativi del diario di missione

Lunedì 8/2/1965

«A Monsignor Luciani scrivo: "Approfitto dell'occasione per ringraziarLa sinceramente. Inviandomi in Africa mi ha offerto la possibilità di vivere in maniera più completa il mio sacerdozio. In passato Don Vittorio De Rosso Le ha comunicato la mia volontà di restare a disposizione del Vescovo di Ngozi che può disporre solo di pochissimi sacerdoti. Il motivo primo però è questo: in coscienza non mi sento di portare un contributo per sostenere la colonizzazione e la separazione razziale. Penso che dobbiamo dimostrare con i fatti che siamo qui per gli africani e non per noi stessi.".

Domenica 14/3/1965

In occasione delle riforme liturgiche ritorna chiaro un punto del programma di colonizzazione: la lingua. Ci sono padri che non conoscono il Kirundi; nelle scuole si dà importanza solo al francese. Il francese è un evidente mezzo per deformare questa gente, per creare una mente divisa nella struttura sociale. Esiste una certa opinione secondo cui bisognerebbe eliminare il Kirundi. Sono cose che contrastano l'umanità. Personalmente mi preoccupa il fenomeno degli évolué. Sono talmente deformati per una formazione colonizzatrice ricevuta, che non si degnano di mettersi a contatto con la povera gente. Quanti poi sono nella politica fanno capire che in programma c'è solo l'egoismo senza la minima preoccupazione per il bene del paese. E' gente tagliata fuori dalla popolazione.

Lunedì 15/3/1965

«In risposta alla mia del 8/2/1965. Monsignor Luciani scrive così: "quanto all'africanizzazione dei sacerdoti vittoriesi, niente da opporre in linea di principio: prima vediamo però di maturare le decisioni e di contornarle con tutta la possibile prudenza". Se la mia volontà di esercitare il ministero alle dipendenze dei sacerdoti africani dovesse incontrare serie opposizioni preferirei rientrare in Diocesi di Vittorio Veneto pagandomi completamente il viaggio andata-ritorno piuttosto che esercitare il ministero in maniera coloniale e razziale ciò che sarebbe contro le mie convinzioni.

Domenica 7/3/1965

«Oggi abbiamo incominciato a introdurre nella Messa le parti in lingua kirundi. La scorsa settimana ho predicato il rito pasquale a due gruppi per la prima volta. Oltre la lettura di un testo preparato mi sono arrangiato con una certa disinvoltura a commentare e a concludere le prediche.

Domenica 6/5/1965

«Oggi, Pentecoste, abbiamo cantato per la prima volta la Messa in kirundi.

Giovedì 25/5/1967

«L'idea di rendermi disponibile al mio Vescovo per le missioni si è maturata in me verso la fine del 1962. Oltre le necessità della mia Diocesi, fornita di personale, il Concilio mi ha aiutato a rendermi conto delle necessità della Chiesa. Sono qui nel Burundi perché mandato dal mio Vescovo; la mia richiesta era stata per l'America Latina. Purtroppo sono partito per l'Africa senza alcuna preparazione pastorale e linguistica. Dopo tre anni e mezzo il kirundi e la comprensione dell'animo del Burundi sono ancora per me le difficoltà principali. Sono contento dell'esperienza africana; è stato per me un vero arricchimento sacerdotale, spirituale e umano. In terra di missione più facilmente ci si sente "preti per la Chiesa" e "a servizio della Chiesa". Dopo aver esaminato la situazione locale ho scelto di esercitare il mio ministero sacerdotale nelle comunità dei sacerdoti africani e a completa disposizione del vescovo di Ngozi. Ci sono problemi di ordine umano, sociale, razziale, pastorale ed ecclesiastico, che anche noi, missionari dell'ultima ora, dovremmo cercare di risolvere portando un nostro, sia pur modesto, contributo. Anche di quest'esperienza sono contento e non manco di ringraziare il Signore. Personalmente non penserei di "ritornare in Diocesi". Sono convinto però che la nostra attitudine debba essere sempre di "disponibilità al Vescovo". Gli istituti missionari, che ritengo necessari per la fondazione della Chiesa, dovrebbero attuare il loro "aggiornamento" specialmente per quanto riguarda "l'adattamento".
Fondata la Chiesa i sacerdoti "Fidei Donum", già dotati di una certa esperienza pastorale, possono portare un contributo prezioso per lo sviluppo della chiesa. Date le enormi necessità, anch'io spero che nel secondo decennio, i preti "Fidei Donum" siano più numerosi e che si moltiplicano le iniziative per la loro preparazione.



Lunedì 5/07/1965

«... In ogni missione i Padri dovrebbero essere preoccupati di conoscere i problemi e le necessità di ordine pastorale e sociale dei cristiani della Parrocchia. Se qualche decisione dev’essere presa il Superiore deve consultare anche i suoi confratelli. È inutile dire ai cristiani che devono ricevere spesso i Sacramenti se non cerchiamo loro di andare incontro, rendendoci disponibili e organizzando qualcosa. È inutile che il Concilio Ecumenico attui la riforma liturgica se poi noi non la attuiamo e non cerchiamo di farla vivere ai cristiani con adeguate spiegazioni e con una dignitosa esercitazione e partecipazione di tutti. Bisognerebbe pensare un po’ di più ai malati, ai vecchi e ai poveri. Oltre che a Pasqua, anche in altre circostanze si dovrebbe dare la possibilità ai malati e ai vecchi di ricevere i Santi Sacramenti. Il Sacerdote deve trattare tutti alla stessa maniera... Se si possono evitare spese superflue si deve farlo. Se si possono evitare dei viaggi si deve farlo. Il lavoro da attuare per il servizio dei Cristiani è enorme e non c’è tempo da perdere. Invece di criticare continuamente gli altri vediamo di capire per conto nostro la situazione reale e portare il nostro contributo per migliorarla senza pretendere di essere noi sulla strada giusta. Prima di accusare gli altri vediamo di fare noi. Non facciamo una malattia per la politica o per il razzismo. Lavoriamo invece per creare una coscienza di responsabilità dove non esiste e per dimostrare con l’esempio che quanto più uno è in alto, tanto più è a servizio del bene della maggioranza. Anche le riunioni fatte per perdere il tempo dovrebbero scomparire. Invece di dire e di chiacchierare, facciamo».

Lunedì 12/07/1965

«... Ancora una volta ho avuto modo di rendermi conto del complesso di superiorità dei bianchi nei riguardi dei neri. Ancora una volta ho capito che il nostro posto come Sacerdoti Fidei Donum è quello di mettersi a servizio della chiesa africana, vivendo con i Sacerdoti Neri e alle loro dipendenze. I Padri Bianchi hanno dichiarato di sentirsi sempre più a disagio nell’esercizio del loro Ministero e hanno chiesto al Vescovo che venga messo a disposizione qualche Abbè per le confessioni e la predicazione nelle loro missioni».

Martedì 14/09/1965

«In quest’ultimo periodo mi sono reso conto praticamente che nella convivenza con gli Abbè Burundi esiste un problema di ordine psicologico. Bisogna evitare ed eliminare anche il minimo motivo che faccia apparire ai loro occhi dei dominatori. Per cui ho tirato questa conclusione: la gestione del denaro dell’economato, con relativa libertà di acquistare e di disporre, dev’essere lasciata a loro. Io potrò continuare ad occuparmi dell’ordine, della pulizia, della custodia del materiale, delle camere dei forestieri... La stessa cosa per quanto riguarda il resto: ogni iniziativa dev’essere lasciata a loro, a me l’attenzione. Se interpellato ho sempre la possibilità di dire il mio parere. Questo per garantire la reciproca libertà e la buona convivenza».


Sabato 29/1/1966

«Si parla di conferenze sul Concilio. Penso che si possa viverlo senza tante conferenze. Se il sacerdozio è un servizio il prete deve crearsi in merito tutta una mentalità e un programma di vita. Se pianifichiamo la nostra vita comoda o disordinata al dono di sé per gli altri è inutili parlare di conferenze. Se il prete deve vivere la povertà deve sapere rinunciare alle macchine e alle servitù troppo numerosa. Anche su questo punto è tutta una mentalità e un genere di vita  da creare specialmente in mezzo a questa cristianità giovane».


Domenica 21/5/1967

«Ritorno da Kihinga per il servizio. Ho visitato anche Bucana. Mio papà mi comunica che dal 23 aprile hanno incominciato ad abitare la casa nuova di Chieri. Mio fratello Mario mi comunica di essersi sposato il 3-4-1967».

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